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Riprendere il tridente

Riprendere il tridente

Il cielo si è improvvisamente oscurato. Ho appena terminato pranzo. Sbircio dalla finestra e vedo nuvole nere in cielo. Mi siedo e, come di consueto, leggo il giornale mentre aspetto che il caffè (anzi l’orzo) salga nella moka. Inizia a piovere con particolare violenza. Anzi, qua e là, sento picchiettare la grandine. Dopo un po’ il rumore si fa intenso. Mi affaccio alla finestra. Ora la grandine cade copiosa. Chicchi grossi di ghiaccio flagellano il giardino. Provo pena per l’ulivo e il cachi. Impotenti e rassegnati subiscono i colpi di quei “sassi”. Poi guardo i vasi di fiori, ancor più fragili e indifesi. E le aiuole. La grandine si accanisce. A tratti sembra fermarsi, poi riprende con rabbia ancora maggiore. Uno spettacolo crudele. Una gragnuola di pietre flagella la terra. Poco più in là il ciliegio subisce la stessa sorte. Ho assaporato a pranzo le sue ciliegie. Lo guardo subire la stessa sorte. Ha regalato i suoi frutti dolci ed ora riceve le botte. In cambio di un dono riceve schiaffi. Provo un forte senso di ingiustizia. Ancora una volta la vita non va come dovrebbe. Da figlio di contadini penso ai campi: il grano, l’orzo, le piantine di mais appena sbocciate, le viti, gli ortaggi, i frutteti. Ricordo la faccia di mio padre dopo una grandinata. Uscì di casa, verso la campagna, per vedere i danni. Io, piccolino, lo seguii. Lo sguardo serio, triste, impietrito. Le braccia abbandonate lungo il corpo. Fermo, in silenzio. Non una parola. Poi rientrò, afferrò un tridente e riprese il lavoro nella stalla. Ora, mentre la grandine continua a colpire, da lontano mi torna alla mente la sua immagine. Un uomo che si scontra con una tragedia, la guarda in faccia, ne soffre e riparte. Riprende il lavoro e ricomincia. Ero bambino. Mi rendo conto ora della grandezza di quel gesto. Quel tridente diventa simbolo di chi non si arrende. Spesso la vita non va come dovrebbe. Sovente grandina sulla nostra esistenza: litigi, malattie, problemi sul lavoro, imprevisti, strappi affettivi. Sono pietre che ammaccano, feriscono, tramortiscono. Non è facile “riprendere il tridente”. Non è facile guardare in faccia la grandine e riprendere il tridente. Il sapore aspro dell’ingiustizia blocca i sogni, spegne la volontà. Arriva, con il suo ghigno beffardo, la tentazione che ci fa dire: “Se la vita va così… tanto vale”. Il serpente velenoso del cinismo sputa il suo veleno: “Tanto vale…”. Anche oggi molti agricoltori, guardando i campi, diranno: “Tanto vale…”. Anche oggi, di fronte alla malattia, molti diranno: “Tanto vale…”. Altri, di fronte ad una delusione, diranno: “Tanto vale…”. Forse anche mio padre, quel giorno, avrà pensato: “Tanto vale…”. Ma poi ha ripreso il tridente. Quel giorno un adulto mi ha insegnato che vivere significa “riprendere il tridente”. Scrive Charles Peguy: “È sperare la cosa più difficile. La cosa più facile è disperare, ed è la grande tentazione”. Sì, la grande tentazione è quella di lasciarsi prendere dallo sconforto, di cedere sotto i colpi dell’ingiustizia. Mai come in questo momento sento potenti le parole di Dio: “Ecco io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Lui ricrea. In sua compagnia possiamo riprendere il tridente

Dario Vescovo di Pinerolo

(da L’Eco del Chisone “Le Parole per dirlo” 28 maggio 2025)

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