“Il peccato dell’indifferenza”
Dal libro del profeta Ezechièle
Ez 18,25-28
Così dice il Signore: «Voi dite: Non è retto il modo di agire del Signore. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési
Fil 2, 1-5
Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Ezechiele è stato il profeta dell’esilio, VI secolo a.C.; le sue riflessioni hanno lasciato una traccia profonda in tutta la Bibbia, ed anche nella spiritualità pagana. E’ stato una specie di crocevia attraverso il quale è passato tutto il pensiero religioso antico. Gerusalemme era stata distrutta dopo 19 mesi di assedio, durante i quali in città, devastata dalla peste e dalla fame, erano successe cose atroci, poi l’assalto delle truppe babilonesi di Nabucodonosor, che si erano abbandonate ad eccessi ed efferatezze spaventose. Dopo quanto era successo, diventava difficile credere ancora nella bontà dell’uomo, nella sua natura di figlio di Dio.
Ezechiele riflette. Il peccato, il male, è dentro l’uomo e contamina tutto ciò che l’uomo tocca. Siamo prigionieri della fragilità, delle passioni, e non sappiamo liberarcene. Perché la storia cambi, bisogna che Dio rifaccia il motore dell’uomo, gli faccia un cuore nuovo, l’uomo deve essere “ricreato”, “rigenerato”, deve avvenire una trasformazione profonda al suo interno. E quanto siano vere queste riflessioni lo sappiamo tutti: quanti nobili propositi vanno a sfracellarsi contro il primo ostacolo; dalla nostra vita privata alle istituzioni pubbliche, si parte bene e si finisce male, perché il male riesce a infilarsi ovunque.
La parola peccato è logora. Nella teologia cristiana essa significa: ciò che ti allontana in modo totale e definitivo da Dio. Ciò che sgretola il cuore dell’uomo. Eppure per sua natura l’uomo è fragile, siamo stati creati così: ma allora, quand’è che la nostra fragilità umana diventa peccato nel senso proprio del termine? Che cos’è che ci allontana definitivamente da Dio? Come si può conciliare l’amore di Dio con la fragilità? Come si fa ad amare Dio e continuare a sbagliare nella vita?
La risposta viene da questa parabola, scritta a metà degli anni ottanta, nel pieno delle polemiche tra le chiese cristiane e le sinagoghe ebraiche, ma che era stata raccontata da Gesù cinquant’anni prima in un contesto completamente diverso. Nessuno dei due figli protagonisti del breve racconto brilla per deferenza verso il padre: il secondo apparentemente è più rispettoso, ma poi si nega, il primo risponde malamente anche se poi cambia idea. Sono entrambi dei “peccatori”. Ma c’è una linea sottile che li divide. Per il primo la volontà del padre è ancora un punto di riferimento, non gli piace, vi si ribella, forse non vede l’ora di liberarsene, però intanto riconosce il suo rapporto con il padre, per lui suo padre conta ancora qualcosa. Per l’altro è diverso: suo padre può dire e fare ciò che vuole, a lui non interessa più e lo si può anche prendere in giro, per lui suo padre non conta più nulla.
Le nostre debolezze, paure, intemperanze, imprudenze, presunzioni, sono la prima causa della sofferenza che ci affligge. Chi ha costruito la sua vita sulla menzogna, chi si abbandona ai suoi impulsi o è in guerra col mondo intero è prima di tutto un infelice vittima di se stesso e poi un peccatore. Ma l’atteggiamento di Gesù verso i peccatori non è stato di condanna: non ha scacciato la prostituta che gli lavava i piedi, non ha scacciato Zaccheo capo dei pubblicani e neppure il ladrone che era in croce accanto a lui. Gesù sapeva bene che ogni persona nasconde un suo dramma, come il figlio che si è rifiutato al padre, ma non era in pace con se stesso.
E’ quello che la chiesa chiama “misericordia di Dio”. Ma se questa misericordia non interessa, se Dio non rientra in nessun modo nei propri orizzonti, se si convive benissimo con la cattiva coscienza e non si sente nessun bisogno di liberarsi dal male e neppure lo si riconosce, allora si è come l’altro figlio della parabola, per il quale suo padre non conta più nulla. Il peccato “mortale”, quello che ci separa veramente da Dio è l’indifferenza, quando Dio non conta più nulla. Questo rende giustizia alla frase brusca lanciata in faccia i farisei: “pubblicani e prostitute vi passeranno davanti”.
Beato l’uomo che teme il Signore, e cammina nelle sue vie.
Rispondiamo insieme: ascoltaci, Signore
Ti preghiamo, Signore, per il nostro paese, che naviga in acque burrascose. Ispira i governanti ad attingere alla fonte della saggezza, che non si lascino guidare da interessi elettorali e che abbiano rispetto dei milioni di cittadini che si sono affidati a loro. Noi ti preghiamo.
Ti preghiamo per noi gente comune, che assistiamo sgomenti allo spettacolo di una natura che sembra esserci diventata ostile. Aiutaci a fare ognuno la nostra parte, a ritrovare spirito di collaborazione, a renderci responsabili di ciò che facciamo, perché il mondo ritrovi il suo equilibrio. Noi ti preghiamo.
Ti preghiamo, Signore, per la nostra società, su cui si sta levando prepotente l’ombra di Pilato. Aiutaci a ritrovare umanità e giustizia, perché la spaccatura tra ricchi e poveri non diventi una voragine capace di inghiottirci tutti. Noi ti preghiamo.
Ti preghiamo per la Chiesa, perché possa liberarsi dalle catene che la opprimono. Sostieni il nostro impegno nella comunità cristiana cui apparteniamo, perché possa essere specchio fedele della tua parola e del tuo Regno. Noi ti preghiamo.
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O Dio, dalla tua santità fiorisce ogni bene negli uomini e nelle cose: rinnova i nostri cuori con il dono del tuo spirito perché tu sia glorificato in ogni nostra opera, e tutta la storia del mondo si disponga alla venuta del tuo Figlio.